Io non lo capisco cosa devo fare, non lo so quello che ti aspetti da me, io vedo solo un pezzettino
Andrea 9 anni
Dal modello dello scarto al modello della risorsa
Che cos’è il modello dello scarto? È avere chiaramente in mente il livello che lo studente deve raggiungere e operare affinché si avvicini il più possibile allo standard richiesto. Nella nostra mente esiste una sorta di bambino/ ragazzo ideale e la nostra azione consiste nell’agire per ridurre il più possibile la distanza dalla idealità. Per i bambini bravi nessun problema, lo scarto è minimo e i progressi sono veloci. Ma se il bambino invece è più indietro? Se la sua condizione di partenza e svantaggiata? Le cause possono essere le più varie: un disturbo dell’apprendimento, una lingua madre diversa, un disagio emotivo, poca motivazione e molto altro ancora.
Come si sentirà questo bambino quando i suoi risultati saranno così lontani dalle attese, così inadeguati? È per questo bambino che il modello dello scarto non funziona. La costante sottolineatura dell’inadeguatezza lo fa sentire impotente e spesso lo convince che non ce la farà mai. I bambini della scuola primaria tendono a generalizzare, l’insuccesso è visto come condizione stabile e definitiva, non come parte di un percorso. Non è raro che questi bambini mollino, certi di non potercela fare, e quando arrivano alla scuola secondaria le loro convinzioni sono così radicate che è davvero difficile rimuoverle.
Pensiamo invece ad una scuola che lavora con il modello della risorsa, che anziché leggere le assenze legga le presenze. Cosa sa effettivamente fare questo bambino? Quale richiesta posso fare che gli consenta di sperimentare successi e di progredire nell’apprendimento? Ogni bambino ha diritto al suo percorso, ai suoi tempi e ai suoi successi.
Anni di studio e di lavoro mi hanno convinto di questo, ma in realtà avevo già appreso questo concetto, senza saperlo, dalla mia maestra Lina. Facevo la seconda elementare. La lettura era ancora un impegno e raccontare poi quello che si era letto davvero complesso. La maestra dava ad ogni bambino una scheda da leggere, poi, a turno, ci avvicinavamo alla cattedra e le raccontavamo la nostra lettura. Piaceva a tutti quell’ attività e ci sentivamo sempre molto soddisfatti. Solo dopo alcuni anni ho scoperto che le schede erano tutte diverse per lunghezza e complessità. Ogni bambino aveva la sua scheda, attentamente calibrata per consentirgli esercitare quello che già conosceva, ma arricchita di quel grado di complessità che poteva gestire. Tutti ci sentivamo capaci.
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